Dopo l’inferno.
Candidamente adagiai
le ferite sul davanzale
tinto dal tepore d’un raggio.
Volsi lo sguardo
- destreggiando come tra dune di latte –
verso gli aghi dorati
che stoici e piantati nella terra
come antiche querce,
colpivano la mia fiacchezza.
Flaccido,
m’abbandonai sul sofà ardente
e come smembrati e dispersi
i frammenti del corpo
- in assoluta soggettività -
deliquiavano tristemente!
M’arresi…
sorrisi…
vissi in eternità disgiunte,
tra dimensioni dislocate
in spazi
- che solo –
continuo a solcare!
venerdì 4 luglio 2008
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